Lo scorso 25 marzo, in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi della Lombardia, abbiamo organizzato un incontro sul tema “professioni a rischio”: la psicologia del traffico e i test cognitivi che possono aiutare a valutare se una persona è in grado o meno di guidare auto, di condurre tram, bus, treni, navi, o di pilotare aerei.
La partecipazione è stata piuttosto contenuta e, con la responsabile della comunicazione dell’Ordine, ci siamo interrogate sul perché non ci fosse stata un’affluenza maggiore nonostante l’importanza dell’argomento trattato.
La notizia dell’aereo della Germanwings precipitato con 150 persone a bordo l’abbiamo appresa poche ore dopo. Il clima di insicurezza in cui viviamo in questi ultimi mesi ha automaticamente portato ad associare l’accaduto a un evento terroristico.
Nel tempo di un paio di giorni, però, la verità si è palesata in maniera forse ancora più inquietante: il copilota aveva volontariamente deciso di far schiantare l’aereo contro le montagne.
Si scoprirà nel giro di poche ore che egli soffriva di depressione e che su quell’aereo non avrebbe dovuto salire. E allora tra colleghi ci siamo domandati come sia possibile sottovalutare le indagini psicologiche sulle condizioni cognitive, ma anche emotive, di tolleranza allo stress, alla frustrazione, di resilienza delle persone: va compreso come questi aspetti possano fare la differenza, e nelle professioni a rischio la differenza è l’incolumità stessa delle persone.
Mi è tornato alla mente il periodo dell’università, quando ho studiato Maslach, che nei suoi scritti parla di sindrome di burn out per le professioni di aiuto; ho pensato che oggi il rischio di incorrere in una evoluzione patologica di un processo stressogeno è un pericolo allargato a molti ambiti: il contesto spesso ci impone di dare il massimo, di essere sempre efficienti, capaci, senza tradire debolezza e incertezze. Questo must in alcuni casi porta inevitabilmente ad accumulare stress e pressione, che si fatica a governare. A questo va aggiunto che, in tempi di particolare attenzione ai costi, può aumentare il rischio di sottovalutare come il business lo faccia l’essere umano.
Perché sono proprio gli interventi sulle persone ad assicurare un’economia sana e duratura.
Inviterei tutti coloro ancora convinti che queste siano soltanto “cose da psicologi” a fermarsi e riflettere.
Diana Lolli
Associate Partner – UTilia